Il giornalismo politico ospite fisso al bar dello sport

In tv dilaga il dibattito sul dopo referendum in un tripudio di tripli salti mortali e di chiacchiere, nel migliore dei casi, senza senso.

Il risultato del voto di domenica è stato chiaro: ha vinto il NO con un largo margine, 59,11%, sul SI, 40,89%. Sono andati a votare in tanti, il 68,48%, una affluenza altissima.

Un’altro dato è di grande importanza in questo voto, le scelte in base alle fasce di età. Perché l’orientamento dei più giovani indica la direzione sulla quale si potrebbe indirizzare il futuro del Paese, mentre quello degli anziani dovrebbe suggerire dove si sedimentano i sentimenti di nostalgia e conservazione.

Orbene, Il No ha sfondato nella fascia di età 18-34 (81%), ha vinto largamente in quella 35-54 (67%) e perso tra gli ultra 55 dove il SI ha raggiunto il 53%.

Un presidente del Consiglio che ha basato la propria proposta politica sulla ‘rottamazione del vecchio’, sulla battaglia tra ‘futuro e nostalgia’, tra ‘velocità e conservazione’ e che si rivolgeva ai giovani sostenendone la riscossa contro la ‘gerontocrazia’ della politica italiana, a guardare i risultati, appare sconfitto su tutta la linea senza appello alcuno.

In televisione intanto sono in attività permanente effettiva molti ‘commentatori’ della carta stampata insieme agli ‘stabili’ del tubo catodico. Bruno Vespa, Enrico Mentana, Giovanni Floris, Lilli Gruber, Myrta Merlino, Maria Teresa Mieli, Federico Geremicca, Peter Gomez, Andrea Scanzi, Marco Travaglio, Maurizio Belpietro, Aldo Cazzullo e qualche altro. Spiegano in interminabili talk show o in telegiornali vari come starebbero le cose.

Il cittadino ascolta, cerca di capire e non capisce nulla. “Renzi si è dimesso, ma è una mossa per non dimettersi”, “Mattarella è pressato da Renzi”, “Renzi è incalzato da Mattarella”. “Si voterà a febbraio”, “No a marzo”, “Ad aprile”, “Di certo a maggio”, “E’ sicuro, l’anno prossimo”, “La Corte Costituzionale deciderà a gennaio sulla legge elettorale”, “Non importa cosa decide”, “Forse la sentenza sarà a gennaio”, “Potrebbe essere a febbraio”…

Tutto ed il contrario di tutto, ma con un sottofondo omissivo. In che senso?

Negli ultimi anni non pochi giornalisti italiani si sono schierati, più o meno apertamente, col nuovo ‘Capo’, Matteo Renzi. Adesso molti di loro non sanno bene come comportarsi. Non si sa se scappare dalla nave che affonda o stare a guardare come va a finire: ché non si sa mai in futuro e lo sconfitto di oggi è notoriamente un vendicativo. Così è meglio dire, ma senza dire e soprattutto non ricordare alcune cose fondamentali.

Poco o nulla, quindi, sulla disfatta del premier in rapporto al suo elettorato naturale, i giovani ed i più svantaggiati, e nulla sulla dinamica istituzionale delle crisi dei governi.

Gli esecutivi si dovrebbero dimettere in Parlamento, le crisi ‘extraparlamentari’ esistono, ma non sono una buona cosa per la democrazia. Se poi un governo prende la fiducia alle 15 ed il premier si dimette alle 19 non solo si assiste ad uno spettacolo indecente, ma i cittadini non comprenderanno nulla della dinamica in corso.

Il 14 gennaio del 1991 Oscar Luigi Scalfato, poi eletto presidente della Repubblica, per mettere le cose in chiaro presentò una mozione a Montecitorio. Nel documento si leggeva: “La Camera, considerato che in molteplici sedi non istituzionali, in particolare attraverso i mezzi di informazione, si è sviluppato un ampio e significativo dibattito concernente le ipotesi di verifica e di crisi di Governo; considerato che è ampiamente rispondente alla ortodossia costituzionale il principio in base al quale il parlamento, come organo centrale del sistema e in quanto titolare della rappresentanza deve essere sempre posto in condizione di esercitare il compito che la Costituzione gli riconosce specie in situazioni estranee alle determinazioni assunte dalle Camere, cioè al di fuori dei casi di negazione della fiducia o di successiva revoca della stessa; considerato inoltre che è stata presentata la proposta di legge costituzionale n . 5231 avente come primi firmatari i deputati Scalfaro e Biondi, concernente il tema delle dimissioni volontarie del Governo al fine di rendere operante il principio della parlamentarizzazione della crisi di Governo; e che tale proposta di legge è stata sottoscritta da oltre 260 deputati e ha ricevuto ulteriori manifestazioni di sostegno raggiungendo un consenso complessivamente superiore ai due terzi dei deputati; impegna il Governo qualora intenda presentare le proprie dimissioni, a rendere previa comunicazione motivata alle Camere”.

Le crisi ‘extraparlamentari’ erano state ‘ammesse’, nel 1960, da un altro politico poi diventato presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, con una ben chiara definizione, cioè col “venir meno di una data maggioranza parlamentare”, cosa non accaduta in questo caso, proprio perchè il governo aveva ricevuto una fiducia poche ore prima delle dimissioni del suo presidente.

Raccontare agli italiani che in questo momento il PD evita di discutere della propria sconfitta fino a trasformare una sua riunione di Direzione in un gruppo d’ascolto sul monologo del segretario, avere un partito di maggioranza in Parlamento che con l’intento di far fallire qualunque tentativo di soluzione della crisi propone un impossibile governo ‘di tutti’ o far sapere ai telespettatori che e persino ‘la forma’ delle decisioni di Matteo Renzi non sono del tutto coincidenti con una visione ortodossa della democrazia parlamentare sono argomenti clandestini o quasi nei media nazionali.

Molto si parla di ‘anti politica’, ma non ci si rende conto che questo modo di informare sui comportamenti tortuosi ed irresponsabili dei partiti (M5S compreso, si legga questo post), nutre sempre di più l’insicurezza dei cittadini e dà forza a quei sentimenti protezionisti, identitari, rozzi ed escludenti che sono alla base della formazione di una destra totalitaria, razzista e xenofoba già entrata alla Casa Bianca, in procinto di accomodarsi all’Eliseo, vera ispiratrice della Brexit e dilagante nell’Europa orientale.

Fino a quando non sarà garantita l’indipendenza del giornalismo e non sarà rotta la commistione tra interessi politici e personali ed informazione la democrazia italiana sarà debole.

Solo la conoscenza dei fatti, oltre le opinioni o peggio le convenienze individuali, permette di essere liberi.

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