Serve a qualcosa la Giornata contro la violenza sulle donne?

Oggi si protesta in tutto il mondo. Il tema è impegnativo, ma non troppo. Il problema è che la crudeltà sembra tornata ed essere il segno distintivo di questa epoca.

Ci sono voluti migliaia di anni per veder riconosciuti ad uomini e donne alcuni diritti elementari. Ancor prima dell’anno 1000, per esser precisi nel 960, la Repubblica Serenissima di Venezia abolì la tratta degli schiavi. Ma per arrivare ad un segnale inequivocabile di condanna dello schiavismo fu necessario aspettare il 25 marzo 1807, quando il Parlamento britannico approvò lo Slave Trade Act, che impegnava il Regno Unito a cessare la compravendita di umani ed a contrastare con la forza chi ancora continuava quell’orrido commercio.

Eppure nello stesso tempo la Gran Bretagna autorizzava il lavoro dei bambini nelle miniere: i piccoli già a 5 o 6 anni erano sfruttati come gli animali che trascinavano i carri per le strade dell’Impero. Si pensi che la prima legge sulla ‘tutela dei minori’ nel Regno Unito, lo Chimney Sweepers Act del 1788, prevedeva che non si potesse fare lo ‘spazzacamino’ prima degli 8 anni.

Se la legislazione inglese fu comunque ‘innovativa’ lo stesso non si può dire per quella di altri Paesi. In Italia ancora negli anni ’60 era molto frequente vedere, in particolare al Sud, bambini che ‘mantenevano’ la famiglia. D’altra parte la parola ormai in disuso ‘proletario’ indica chi come unica proprietà disponeva della ‘prole’, ovvero di figli da mandare a lavorare.

Che c’entra tutto questo con la Giornata mondiale contro la violenza sulle Donna?

Non poco. Forse si dovrebbe cominciare ad uscire dal recinto dei ‘generi’ per tornare a quello delle ‘persone’. Perchè appare impossibile risolvere un problema senza rimuovere le cause che lo generano.

Dopo la grande ‘battaglia per la pacificazione’ degli anni ’60, quella del ‘make peace not war’, almeno in occidente alcuni valori sostanziali sembravano affermati. Prima di tutto la condanna della violenza. Poi la libertà sessuale, la parità tra gli umani di qualunque orientamento sessuale, la necessità di abolire le differenze razziali o le discriminazioni religiose o sociali.

Invece quell’immenso movimento di giovani, la straordinaria ‘Summer of love’ di un irripetibile 1967 a San Francisco, e la carica rivoluzionaria di quel cambiamento sono stati contrastati in ogni modo da chi voleva impedire l’affermarsi di nuovi valori progressisti.

Così oggi, a mezzo secolo di distanza,  in Asia i bambini lavorano per i produttori occidentali come un tempo accadeva nelle miniere inglesi, in America un miliardario sostenuto dal Ku Klux Klan è stato eletto alla Casa Bianca, in Italia in nome della ‘velocità decisionale’ si toglie la libertà di voto ai cittadini e si limitano i diritti per i lavoratori e in Africa a milioni fuggono dalla guerra e dalla violenza scatenate da una nuova ondata di colonialismo mascherato.

In tutta Europa, poi, il razzismo dilaga con la xenofobia, mentre la ‘gentilezza’ sembra essere scomparsa completamente nelle grandi città, da Londra a Parigi, da Roma a Madrid.

Nel nostro Paese 166 donne sono state uccise da uomini dall’inizio dell’anno e si tratta di una cifra che spaventa. Ma lo stesso squilibrio sociale e culturale che genera l’assassinio delle donne sta impedendo ad 11 milioni di italiani poveri di accedere alle cure mediche delle quali hanno bisogno. Per fare solo un esempio.

Non sarà mai possibile pensare di debellare la violenza sulle donne senza debellare prima la violenza in assoluto. E violenza è, oltre ogni altra cosa, il non rispetto dei diritti della persona.

Così forse oggi invece di costruire il recinto del ‘femminicidio’ si dovrebbe riaprire lo spazio alle idee ed agli ideali di eguaglianza e libertà. Per tutti. Ma forse è troppo difficile da fare.

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