Tra crisi economica e miraggio dell’uguaglianza
Ciascuno dei 10 individui più ricchi d’Italia ha una ricchezza pari a quella di 300 mila italiani poveri. Oggi 9 italiani su dieci stanno peggio e reagiscono individualmente. Su ‘Micromega’ un saggio dell’economista Mario Pianta.
La diseguaglianza è entrata profondamente nelle nostre vite, come segnalano i dati Eurostat: se nei 17 paesi dell’eurozona la quota dei profitti e delle rendite nel 2010 è del 40%, mentre ai salari va il 60% del reddito, in Italia la fetta dei profitti nel 2010 era del 45%, con la quota dei salari al 55%. I profitti sono cresciuti in Italia del 3% in media l’anno tra il 1993 e il 2000, e dello 0,6% tra il 2000 e il 2007. La fetta dei salari è cresciuta dello 0,8 negli anni novanta e dell’1,8% l’anno negli anni duemila. Ma se consideriamo i salari medi per lavoratore, troviamo che sono diminuiti di oltre lo 0,1% in media l’anno per due decenni.
Passando dalla distribuzione tra le classi sociali a quella tra gli individui, ci vengono in aiuto i due recenti rapporti dell’Ocse che segnalano un aumento generalizzato delle disuguaglianze in quasi tutti i paesi tra gli anni ottanta e oggi: nel 2008 il reddito familiare disponibile medio degli italiani di età lavorativa era di 19.400 euro; per il 10% più ricco era di 49.300 euro, per il rimanente 90% era di 16.000 euro, per il 10% più povero di appena 4.900 euro.
Tra la metà degli anni ottanta e la fine degli anni duemila il reddito disponibile (in termini reali) per la popolazione in età di lavoro è aumentato di 126 miliardi di euro: è stato questo l’aumento della torta delle possibilità di spesa. Il 10% dei più ricchi se ne è preso un terzo, 42 miliardi, pari a 11 mila euro in più per individuo. Al 10% dei più poveri sono andate solo le briciole, 8 miliardi, pari a 200 euro di aumento pro capite. Il risultato è che oggi, secondo l’Ocse, la disuguaglianza nei redditi di mercato in Italia – sulla base di diverse misure – è superiore alla media dell’Europa, ed è superata solo da Portogallo e Gran Bretagna.
L’1% più ricco degli italiani – 380 mila persone in età di lavoro – ha una fetta del reddito totale di quasi il 10% nel 2008, contro il 7% degli anni ottanta. Ancora più in alto, i 38 mila che sono lo 0,1% più ricco degli italiani hanno una quota di reddito passata dall’1,8 al 2,6% del totale del paese: 19 miliardi, oltre 500 mila euro l’anno per ciascuno. Lo stesso ammontare se lo deve dividere oggi in Italia il 10% più povero della popolazione in età di lavoro: 38 mila persone possono spendere come 3 milioni e 800 mila, ogni ricco ha il reddito di cento poveri.
Inquietanti anche i dati sulla ricchezza netta totale: quella degli italiani era stimata in 9.500 miliardi di euro nel 2010, ed è cresciuta moltissimo: oggi (a prezzi costanti) è sette volte e mezza in più del 1965; il tasso di crescita è stato del 4,7% l’anno, un record a confronto con il ristagno del reddito complessivo. Il 10% delle famiglie più ricche possiede quasi il 45% della ricchezza totale, mentre riceve il 27% del reddito. Il 50% delle famiglie più povere dispone di appena il 10% della ricchezza totale. All’estremo vertice della piramide, ciascuno dei dieci individui più ricchi d’Italia ha una ricchezza pari a quella di trecentomila italiani poveri.
“E’ possibile – si chiede Mario Pianta, professore di Politica economica all’Università di Urbino, nel suo articolo che uscirà domani su ‘Micromega’ – che questa realtà sia stata completamente invisibile nelle elezioni dello scorso febbraio? Il peso del debito pubblico, l’obbligo dell’austerità, i ‘vincoli posti dall’Europa’, la riduzione delle tasse sono i temi che hanno occupato lo spazio della politica e dato forma ai programmi elettorali. Il centro sinistra si è presentato all’insegna dell’’Italia bene comune’ e dell’’Italia giusta”’: riferimenti opportuni, ma rimasti privi di contenuti quando si passava alle proposte politiche. Di quali fossero le ingiustizie dell’Italia non si è parlato in campagna elettorale. Meno ancora di come porvi rimedio”.
Oggi l’ingiustizia più grande del paese “non sono le tasse – prosegue Pianta – non è la precarietà, non è la disoccupazione provocata dalla crisi, non è nemmeno la casta dei politici: è la disuguaglianza. E’ questa l’ingiustizia in cui confluiscono tutte le precedenti, il fenomeno che indebolisce l’economia, frammenta la società, snatura la politica. E’ il risultato del cambiamento, a partire dagli anni ottanta, nei rapporti di forza tra capitale e lavoro, degli effetti di globalizzazione, nuove tecnologie e strategie d’impresa che hanno distrutto posti di lavoro, delle conseguenze di politiche che hanno ridotto tutele e diritti, fermato la redistribuzione, protetto i privilegi e lasciato crescere la povertà. Da qui viene l’impoverimento di nove italiani su dieci e la concentrazione di reddito e ricchezza nelle mani del 10% di privilegiati: una realtà rimasta fuori dai riflettori della campagna elettorale e difficile da comprendere anche per molti cittadini”.
Ciò che preoccupa ulteriormente è “l’assenza di una prospettiva politica capace di intervenire su questi fattori di disagio sociale”; assenza “che ha alimentato il consenso elettorale del Movimento Cinque Stelle, sottraendo voti a un centro sinistra che in questi decenni non ha visto il problema delle disuguaglianze e non è intervenuto per limitarle”.
La politica tradizionale appare “sorda e impotente di fronte al peggioramento delle condizioni di vita di nove italiani su dieci, allora il consenso va a chi offre un rifiuto radicale di quella politica. Oppure si estende l’astensione dal voto. In entrambi i casi, il comportamento elettorale diventa l’espressione diretta di una particolare condizione individuale. E questo orizzonte esclusivamente individuale è esso stesso alla base della diffusa accettazione, negli ultimi decenni, di disuguaglianze crescenti”.
Di fronte alla profondità della crisi economica e sociale, e alla gravità dello sconvolgimento politico avvenuto col voto di febbraio, è essenziale dunque secondo l’economista “mettere al centro la questione della disuguaglianza: capire come si può cambiare una distribuzione del reddito così ingiusta, come si può ricomporre la frammentazione sociale, come si possono dare risposte alla frustrazione politica”.