Attenti al lupo? No, alla svendita del patrimonio pubblico
L’Italia rischia di esser messa ai saldi dal governo. La lettera di Berlusconi a Bruxelles è l’apoteosi delle chiacchiere, ma c’è un punto che preoccupa. Il solo che potrebbe diventare realtà.
Nel documento varato dal governo per ottemperare all’ultimatum del duo Sarkozy-Merkel (leggi tutto) c’è un piccolo paragrafo estremamente pericoloso: “Entro il 30 novembre 2011, il Governo definirà un piano di dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico che prevede almeno 5 miliardi di proventi all’anno nel prossimo triennio. Previo accordo con la Conferenza Stato-Regioni, gli enti territoriali dovranno definire con la massima urgenza un programma di privatizzazione delle aziende da essi controllate. I proventi verranno utilizzati per ridurre il debito o realizzare progetti di investimento locali”.
E’ facile comprendere come in un Paese devastato dalla corruzione ben 15 miliardi di dismissioni di patrimonio pubblico possano diventare un vero e proprio scrigno magico per partiti ed affaristi sempre più affamati ed ingordi.
Sembra che il ministro Tremonti, forse contrario alle ultime scelte dell’esecutivo, sia del parere che si stia rischiando un nuovo “Britannia”, riferendosi al meeting del 2 giugno 1992, quando a bordo della nave inglese si tenne un convegno sulle privatizzazioni italiane al quale cui presero parte importanti manager ed economisti tra i quali, guarda caso, Mario Draghi.
Il ministro dell’Economia ha paura si stia per realizzare un nuovo sacco d’Italia, mettendo all’asta giganti come Eni e Finmeccanica e producendo gli stessi disastri accaduti in casi come quelli riguardanti Telecom o altre imprese di Stato coinvolte in operazioni di privatizzazione dissennate.
Certo, la legislatura sembra destinata a concludersi in anticipo con elezioni anticipate, ma l’esperienza insegna che nel nostro Paese quando il piatto è ricco tutto è possibile.
Sapranno opposizione e forze sociali vigilare affinchè non si trafughi parte del partrimonio pubblico.
Ultima nota: la cessione di Telecom avvenne mentre al governo c’era Massimo D’Alema, centrosinistra e Prodi fu protagonista di contestate scelte di dismissione quando era presidente dell’Iri.
Ricordare che il denaro non ha divisa finchè si è in tempo è auspicabile.