Afghanistan dimenticato
Attentati, sparatorie, bombardamenti, battaglie campali: sembrano essere ormai ordinaria amministrazione. Come la morte di civili e militari costretti in un disastro che non troverà alcuna soluzione fino a che non torna il primato della politica.
Ieri il tenente Massimo Ranzani, 37 anni, originario di Ferrara, appartenente al quinto reggimento alpini di stanza a Vipiteno, è stato ucciso nell’ovest dell’Afghanistan. Altri quattro soldati sono rimasti feriti. La solita bomba artigianale ha fatto il suo lavoro. Quel tipo di ordigni improvvisati sono una delle armi più utilizzate dai talebani e colpiscono nel 30 per cento dei casi vittime civili.
Le favole propagandistiche del governo americano e dei comandi militari secondo le quali nel lontano Paese asiatico dopo il buio dei talebani era arrivata la democrazia ormai sono inaccettabili. E sono anche raccontate ai cittadini in mala fede.
Nell’ultima relazione consegnata dal Dipartimento informazioni per la sicurezza (Dis) al Parlamento si affermava che il quadro della situazione in Afghanistan è instabile e, in particolare, “le province occidentali del Paese, sede del Regional command west-Rcw della International security assistance force (Isaf), a guida italiana, saranno esposte al crescente rischio di attachi specie in relazione al riposizionamento in area di miliziani provenienti dalla regione meridionale, in esito alle operazioni di controinsorgenza avviate nel 2010 dalle forze di sicurezza afghane congiuntamente a reparti di Isaf”.
Secondo il documento del Dis “quanto al modus operandi è verosimile che nell’esecuzione di azioni ostili continuino ad essere privilegiate le tecniche di guerriglia, quali le imboscate e il posizionamento di Ied (Improvised Explosive Devices) lungo le rotabili interessate dal transito di forze internazionali e governative, nonchè l’impiego di razzi e mortai contro le basi militari di Isaf. Non sono da escludere, inoltre, rapimenti di personale occidentale impegnato a vario titolo nel processo di ricostruzione”.
“Infine, nei principali centri urbani primi fra tutti Kabul ed Herat – conclude, a questo proposito, la relazione – è possibile che l’insorgenza, alla ricerca di visibilità mediatica internazionale utile a fini propagandistici, possa condurre azioni che contemplino l’utilizzo contemporaneo di attentatori suicidi e gruppi di fuoco. Ciò al fine di evidenziare la vulnerabilità di obiettivi istituzionali e stranieri, considerati fra i più protetti del Paese”.
Insomma, la ‘missione di pace’ fatta coi carri armati ed i bombardieri e che produce morti civili e militari ogni giorno, non riesce ancora a trovare il suo nome: ovvero guerra d’Afghanistan. Ed i parlamentari che hanno votato per il suo finanziamento non hanno il coraggio di dire la verità ai cittadini e soprattutto ai soldati che vanno laggiù a morire senza avere una sola possibilità di raggiungere gli obiettivi previsti.