Le torture americane in Iraq
Lynndie England, una delle aguzzine di Abu Ghraib, non ha dubbi e non si pente.
La soldatessa statunitense fu condannata a tre anni di carcere a seguito della pubblicazione di foto nella quale era ritratta festante e soddifatta a fianco di prigionieri iracheni nudi e stremati a causa delle violenze subite. La England era strutturalmente crudele, il caporale Charles Graner, commilitone e padre di suo figlio era suo complice e per gli stessi reati prese 10 anni di prigione.
La criminale di guerra oggi ha 26 anni e vive a Fort Ashby, West Virginia, con il figlio Carter. La England è stata intervistata dalla Bbc in un bar mentre beve birra. Appare ingrassata, ha molti capelli bianchi e secondo la tv inglese è una donna sola, isolata, impaurita e vive di antidepressivi.
Nonostante le notizie che hanno sconvolto l’America, le falsità poi scoperte sulla finte ‘armi di distuzione di massa’ inventate dall’amministrazione Bush per avviare una guerra insensata ed ancora senza soluzioni, le decine di migliaia di morti tra la popolazione civile irachena e la condanna espressa dal presidente Obama nei confronti della tortura, la soldatessa americana non ha ancora capito nulla.
Nell’intervista ha detto di aver ricevuto minacce e che a sua madre è stato anche intimato di uccidersi dopo le sue azioni, anche se non ha specificato la fonte delle intimidazioni. England ha aggiunto di aver paura d’essere uccisa, non si sa da chi.
La giornalista della Bbc le ha mostrato le foto raccapriccianti delle torture e le ha chiesto il perchè di quell’orrore. La criminale era per altro ‘volontaria’, perchè non era assegnata all’ala del carcere nel quale avvenivano gli abusi.
La England partecipava ai raid col fidanzato Graner poichè “lui mi ha detto: se mi ami, fallo. Non volevo deluderlo, avevo paura che mi lasciasse e di restare da sola in guerra”. Quando l’intervistatrice le ha chiesto se aveva qualche giustificazione la ex militare ha risposto: “Rispetto a quello che (gli iracheni, ndr) avrebbero fatto a noi questo era niente. Quando queste cose succedevano, loro ci decapitavano, bruciavano i corpi, trascinavano i cadaveri per le strade o li appendevano ai ponti. Queste cose (le umiliazioni sessuali) invece succedono sempre anche nei college americani”.
Ma è accettabile o no, ha incalzato la giornalista. “Beh, se serve a ottenere informazioni utili, allora sì”. Ma non le pareva assurdo, perverso quello che facevate, ha insistito la reporter inglese mostrando una foto che ritrae lei e il fidanzato coi pollici alzati su una pila di corpi nudi. “Certo, era un pò strano, assurdo, ma quelle erano le cose che succedevano lì. Continuavamo a chiederci se fosse giusto, ma loro (i superiori, ndr) ci dicevano che andava bene, di continuare e chi sono io per metterlo in dubbio?”.
Il quadro descritto da England è oscuro, mostra quanto bassa sia la consapevolezza di un largo numero di militari americani sui temi che riguardano i diritti civili ed il rispetto della persona umana e le responsabilità dei vertici militari per i crimini commessi non solo ad Abu Grahib. Il riferimento dell’aguzzina alle violenze nei college, poi, scoperchia un problema profondo nella società statunitense e spiega in parte le stragi compiute da studenti nelle scuole, come quella di Columbine, nella quale 12 studenti e un insegnante furono massacrati da due adolescenti.
Quest’America violenta, radicata in vaste aree rurali, è poco raccontata dai media, anche se spesso protagonista di crudeltà inimmaginabili. Gli Stati Uniti, di certo uno dei Paesi più civili del mondo, ha molti volti, alcuni dei quali ancora quasi sconosciuti all’opinione pubblica italiana, troppo spesso affascinata da miti e leggende alimentate da media disattenti.