Contratti, un voto per contare
Lavoratori, pensionati e precari hanno potuto esprimere il voto sull’accordo sulla riforma del modello contrattuale raggiunto dal governo e dai sindacati, tranne la Cgil. Un articolo per “Tu Inviato”
Il voto è, da sempre, lo strumento attraverso il quale tutti, uomini e donne, possono far sentire la propria voce, possono cambiare le cose, possono esprimere o no apprezzamento per una proposta, un personaggio, un partito.
In questo mese il voto è stato il mezzo con il quale i lavoratori, i pensionati, i precari, hanno potuto dire “no” all’accordo separato sulla riforma contrattuale firmato il 22 gennaio scorso dal Governo, Cisl, Uil, Ugl e dalle associazioni imprenditoriali.
Una campagna, questa sul voto, promossa dalla Cgil, la “grande esclusa” dall’intesa di gennaio.
Una campagna che si è servita di uno slogan forte: “Io voto, io conto”, proprio per voler ricordare a tutti i lavoratori, i pensionati, i precari, che solo facendo sentire la propria voce, esprimendo il proprio parere, si potrà far comprendere dissensi o consensi sull’accordo.
A detta della Cgil indebolisce il contratto nazionale perché programma salari inferiori all’inflazione e non ne prevede il recupero, perché i costi della crisi che sta investendo il Paese non possono pesare sul lavoro dipendente.
Solo i lavoratori e le lavoratrici, è la tesi del sindacato più rappresentativo, hanno il diritto di dire se questo accordo può essere loro utile oppure no, e proprio muovendo da questo assunto la Cgil aveva chiesto a tutte le altre sigle sindacali di promuovere un referendum in maniera unitaria.
A questa richiesta è stato opposto un secco diniego, ma i lavoratori e le lavoratrici della Cgil hanno comunque potuto esprimere il proprio parere in tutte le assemblee organizzate nei luoghi di lavoro.
Alla fine il 97% circa di chi si è recato alle “urne” si è espresso negativamente sul merito dell’intesa stessa.
Il “no” all’accordo separato, hanno spiegato in Cgil, rappresenta un “no” ad un Governo, quello di Berlusconi, accusato di nascondere la reale situazione del Paese, dove sempre più famiglie faticano ad arrivare alla fine del mese, dove sempre più giovani non trovano lavoro, dove la disoccupazione, per la prima volta dal 1992, cresce, dove aumenta in modo esponenziale il ricorso alla cassa integrazione.
Del resto appare piuttosto grottesca la scelta, a quanto pare adottata a palazzo Chigi, di utilizzare la crisi per ridurre le tutele sociali, il lavoro, la contrattazione: è forse giusto perseguire la strada della divisione sindacale per imporre determinate scelte?
Elisa Mariotti
Siamo in dittatura, ma facciamo finta di no…