“8″ e le promesse
Nel 2000 l’Onu decise di accorciare le distanze tra Paesi ricchi e poveri. In 15 anni. Da allora poco o nulla è successo. Otto registi raccontano quella speranza in un film. Un articolo per “Tu inviato”.
È durato circa 5 minuti l’applauso che ha seguito, in anteprima mondiale al Festival Internazionale del Cinema di Roma, la proiezione di “8”, il film diretto da Abderrahmane Sissako, Gael Garcìa Bernal, Mira Nair, Gus Van Sant, Jan Kounen, Gaspar Noe, Jane Campion e Wim Wenders.
Gli 8 registi hanno raccontato, attraverso film di breve durata ma in certi casi di toccante suggestione, i punti della Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, firmata nel 2000 dai 191 Stati membri dell’organismo internazionale.
Gli obiettivi, per la verità quasi impossibili da raggiungere, secondo la Dchiarazione sono: sradicare la povertà estrema e la fame, garantire l’educazione primaria universale, promuovere la parità dei sessi e l’autonomia delle donne, ridurre la mortalità infantile, migliorare la salute materna, combattere l’AIDS, la malaria ed altre malattie, garantire la sostenibilità ambientale e sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo.
Tutto ciò si dovrebbe raggiungere, secondo gli intenti dei firmatari, entro il 2015. Dopo otto anni si dovrebbero già profilare i primi timidi risultati e invece ogni cosa è esattamente come a inizio millennio, se non peggio.
Al di là dei discorsi retorici e scontati che circondano sempre le ‘alte discussioni’ su fame nel mondo o l’analfabetismo, tanto per citarne alcuni, bisogna certamente riconoscere ai produttori di “8”, Marc Haberon e Lissandra Haulica, il merito di aver riportato l’attenzione su un documento non tanto conosciuto quanto la sua importanza mondiale richiederebbe.
Ai registi che si sono impegnati a raccontare i punti della Dichiarazione, invece, va il merito di averlo fatto ciascuno con il proprio stile, chi credendoci di più, chi di meno, ma ottenendo comunque un buon risultato.
Sissako ha raccontato la sua Africa attraverso lo sguardo di una bambina che, pur vedendo morire di fame il proprio padre, continua a credere di poter salvare se stessa.
L’emergente Bernal, al suo secondo film, sceglie di parlare dell’educazione primaria universale, ispirandosi ai paesaggi dell’Islanda piuttosto che alla patria natìa, il Messico, e dando vita ad una favola dal sapore nordico.
Mira Nair ha raccontato, come lei stessa dichiara, la storia vera “di una donna musulmana che pianta marito e figlio per diventare la seconda moglie di un altro”. Le Nazioni Unite, per questa scelta, non hanno più finanziato il film e hanno accusato la Nair di offendere all’Islam.
La Campion, nel suo stile nconfonidibile, ha lasciato che a parlare dell’ambiente fosse un elegante equilibrio tra immagini e poesia: molto belle le scene delle nuvole sul prato e di una violinista che, sotto un cielo carico di pioggia, suonando richiama a sé i bambini con i barattoli pieni delle proprie lacrime.
Infine, Wim Wenders ha proposto, per lo sviluppo di un partenariato mondiale, la soluzione del microcredito. “Yes, we can” è la frase che ricorre nel suo cortometraggio, quello conclusivo al film. A sottolineare la campagna del candidato afroamericano alle elezioni presidenziali Usa di novembre.
La richiesta finale collettiva è comunque che i governi mantengano le promesse sottoscritte nel 2000 e il film “8” si fa portavoce di chi, in quelle promesse, continua a voler sperare.
Una bella scommessa.
Annalisa Andruccioli