India, cristiani e alluvioni
Situazione sempre grave
Oggi tutte le scuole e i collegi cattolici dell’India sono stati invitati a restare chiusi per protestare contro le uccisioni di cristiani nello Stato orientale dell’Orissa. Lo ha annunciato la Conferenza dei vescovi cattolici indiani che gestisce quasi 25mila istituti educativi.
Finora almeno undici persone sono state assassinate in seguito all’uccisione di un capo indù nel distretto di Kandhamal.
Secondo le autorità indiane, il leader induista sarebbe stato eliminato da ribelli maoisti, ma i gruppi di estremisti indù hanno indirizzato la ritorsione nei confronti della comunità cristiana, con esecuzioni sommarie, incendi e saccheggi.
Il governo dell’Orissa rende noto che al momento la situazione è sotto controllo, ma centinaia di persone rimangono rifugiate nella foresta in condizioni precarie.
Secondo il corrispondente della BBC, Rahul Tandon, il risentimento degli estremisti indù verso gli ecclesiastici cristiani deriva dal rapporto che questi ultimi hanno con gli indigeni e gli appartenenti alle caste più basse. I gruppi induisti, infatti, accusano i religiosi di voler convertire gli emarginati ed i cristiani rispondono che ciò può aiutare a sottrarsi dalla gerarchia induista delle caste.
Almeno 2 milioni e mezzo di persone hanno dovuto, invece, abbandonare le loro case per le alluvioni nello stato settentrionale indiano del Bihar. Dopo che il fiume Kosi ha rotto gli argini ci sono state almeno 55 vittime.
Le violente piogge sono cominciate undici giorni fa nel vicino Nepal, causando decine di migliaia di sfollati. Il primo ministro indiano, Manmohan Singh, ha annnunciato lo stanziamento di 230 milioni di dollari, ma nel frattempo gran parte degli sfollati del Bihar è rifugiata in ripari di fortuna senza assistenza di base ed è a rischio di contrarre malattie epidemiche.
Francesca Lancini